Sul femminicidio di Giulia Cecchettin
Comunicazione al Consiglio straordinario aperto del 29 novembre 2023 di Alberto Battaggia
Le modalità in cui è avvenuta l’uccisione vigliacca di Giulia Cecchettin ha innescato nel Paese una reazione emotiva fortissima e partecipata. Una vicenda che si è presentata come assurda, sproporzionata nelle sue caratteristiche, troppo feroce e meschina, rispetto alle dimensioni umane dell’omicida.
Quello che abbiamo capito dai media è che Filippo Turetta, apparentemente, è un giovane come tanti, indistinguibile da tanti ragazzi di quelli età: gli amici, la fidanzata, gli studi, il desiderio di autonomia…tutto molto normale, scontato, poco interessante. Filippo non fa parte di un universo umano degradato, arretrato, acceccato da ideologie medievali, da fanatismi religiosi o da tradizioni criminali; non è figlio di una famiglia disgraziata, in un senso o nell’altro.

“Sgomenti davanti alla cattiveria, alla malvagità, alla violenza forsennata“
Per cui, una volta di più, siamo rimasti sgomenti davanti alla cattiveria, alla malvagità, alla violenza forsennata..siamo rimasti sgomenti davanti al cosiddetto “male”, quella voragine dei sensi e dell’intelletto che sappiamo albergare dentro di noi, descritta mille volte dagli scrittori, dai pittori, dai registi…e che pure ci sorprende, sempre, quando si manifesta in questo modo scellerato; e che e ci fa ricordare di essere, tutti noi, esseri viventi assai fragili, bisognosi di cura, autostima, amore, per non precipitare nell’abisso che è in noi.
Ma quello che chiamiamo genericamente “male” non è un’esperienza astratta, un’opaca, indecifrabile, ancestrale, latente condizione. Il male si esprime sempre in termini concreti, ha sempre una forma ben precisa, che deriva dal vissuto personale e collettivo di chi il male lo commette. Il “male” assume sempre una forma storicamente determinata, concreta, specifica.
Difficile negare, perciò, che il male di cui stiamo discutendo abbia assunto la forma di una prepotenza patriarcale. Cosa ha voluto riaffermare Filippo con il suo gesto? Un primato perduto. Una gerarchia di altri tempi. Una rivendicazione anacronistica, insensata, ingiustificata, di un predominio maschile che le leggi, ma anche il senso comune di buona parte della società non tollera, non giustifica, non apprezza.
Tanto più assurdo quanto più la nostra società – laicizzata, democratica, inclusiva, aperta, almeno nelle intenzioni di buona parte dei suoi cittadini e delle sue istituzioni – non può eticamente, culturalmente e politicamente tollerare che i rapporti tra maschi e femmine assumano una ridicola e avvilente forma patriarcale. Se quindi il male compiuto da Filippo sarà oggetto di un’indagine e di un giudizio sulla base delle leggi vigenti, se quindi la sua responsabilità sarà valutata in termini personali, individuali; se le circostanze che saranno prese in esame dai giudici saranno quelle – psichiatriche o meno – che, in quanto giudici, i giudici riterranno di fare, di questa vicenda orribile non possiamo non cogliere le implicazioni culturali e politiche profonde.
Più di cento femminicidi all’anno ci dicono che qualcosa di malato deve essere ancora curato, nella nostra società; che nonostante l’apparente modernità del nostro stile di vita, sopravvivono ancora, incistite nel profondo, insensate resistenze alla libertà degli esseri umani: innanzitutto alla libertà delle donne. E’ compito delle istituzioni, culturali, sociali e politiche, impegnarsi perché questo scandalo insopportabilmente quotidiano finisca.